sabato 19 ottobre 2013
ore 15.00 – 18.00
Gallerie d’Italia
Sala Mattioli
Ingresso libero
«La nuova pittura mi aveva reso desideroso di un mondo sonoro più diretto, immediato, fisico di qualunque cosa fosse esistita prima.» Morton Feldman nasce come compositore-pianista: i suoi pezzi giovanili sono esercizi incerti tra Skrjabin e Bartók, una strada che abbandonerà presto. Probabilmente era il tentativo di superare il dilemma tra i due modelli dominanti, Schönberg e Stravinskij, che, come ammetterà in seguito, negli anni Quaranta si paravano sul suo cammino, come su quello di ogni altro giovane compositore. La soluzione fu ascoltare e guardare, oltre, fuori della musica: Pollock, De Kooning, Kline, Rauschenberg, Rothko, Guston… Improvvisamente, dice Feldman, fu come avere per modelli «tanti Stravinskij». Ispirarsi alla pittura non significava a quel punto riferirsi per analogia a un’esperienza visuale, come a un diverso modo di concepire le relazioni tra forme e colori – quanto, piuttosto, elaborare il pensiero di far nascere le forme dai materiali stessi, secondo i dettami impliciti all’esperienza astratta. La fondamentale scoperta della nuova pittura coincide per Feldman con l’incontro di John Cage, avvenuto nel 1950, e le due esperienze confluiscono in un modo interamente nuovo di concepire la forma, a partire dalle qualità specifiche del materiale sonoro. La metafora pittorica si espande generosamente negli scritti in cui Feldman prova ad accompagnare la sua creazione musicale, rivelando d’altronde la frequentazione assidua di un ambiente artistico, quello della Manhattan degli anni Cinquanta, straordinariamente ricco di personalità imponenti. Feldman è amico di tutti i pittori citati, ma affinità speciali lo legano a Mark Rothko, a cui dedica uno dei suoi lavori più eccentrici, Rothko Chapel, musica da eseguirsi in uno spazio specifico interamente definito da un insieme di grandi tele, e poi a Philip Guston, da cui si allontanerà nel momento di una svolta figurativa e narrativa che, curiosamente, coinvolge in parallelo ambedue gli artisti. Per quanto immediatamente riconoscibile, la musica di Feldman non si è mai irrigidita in uno ‘stile’, e ha conosciuto più di un mutamento. Il problema della relazione tra i suoni non era stato risolto una volta per tutte con una semplice negazione; al contrario, Feldman ha continuato a sperimentare diversi modi di trattare le sue «superfici» e di evitare «l’apparenza dei rapporti di causa-effetto», ossia le tante e diverse retoriche per mezzo delle quali la musica cerca di affermarsi come ‘discorso’.Una musica così fortemente radicata nella fisicità del fatto acustico è tuttavia comprensibile a partire da concetti propri dell’ambito della visione: «Preferisco pensare che il mio lavoro si situi tra le categorie. Tra il Tempo e lo Spazio. Tra la pittura e la musica. Tra la costruzione e la superficie della musica». (v.r.)
Between categories
Le tele sonore di Morton Feldman
Incontro di studi coordinato
Gianmario Borio
Veniero Rizzardi